WIN 51 - L'acqua che cura. Lo specchio magico e le donne fatte a pezzi

“Il respiro sembrava che mi fosse andato al cervello. Era il cervello che respirava e ogni volta mandava via i miei casini”.
Eleonora ha una trentina d'anni e ha già rischiato la vita più volte. Il suo uomo la picchiava. Per anni l'ha umiliata, violentata nel corpo e nell'anima e massacrata di botte in preda all'alcol e alla gelosia. Fino a quando, una sera di giugno, completamente ubriaco, ha quasi ucciso lei, la sorella e un amico intervenuto a difendere le due donne.

Solo allora, vedendo in pericolo la vita di chi più amava, Eleonora ha trovato la forza di denunciare e di chiedere aiuto. E' iniziato così per lei un percorso di emancipazione dalla condizione di violenza, che l'ha condotta all'acqua. L'acqua magica del Watsu.
Eleonora ha ricevuto watsu per la prima volta lo scorso gennaio. Lei e altre donne, vittima di violenza e maltrattamenti, assistite dall'associazione trevigliese “Casa delle donne”, sono le protagoniste del progetto “Watsu delle donne”, proposto dall'associazione e da Laura Crespi, studente di Watsu Italia, con la collaborazione del Centro Idrokin di Treviglio.
Obiettivo dell'iniziativa, nata a dicembre del 2015, è portare a queste donne violate, fatte a pezzi da chi amavano o addirittura ancora amano, l'acqua buona del Watsu. L'acqua che cura e blandisce le ferite, l'acqua che riflette come uno specchio magico la loro straordinaria unicità di essere umani restituendo loro la consapevolezza di sé, riconciliandole con il loro corpo e con il sé più profondo e autentico. Come un puzzle che si ricompone, nello specchio magico dell'acqua del Watsu queste donne ritrovano la loro completezza. Possono tornare a lasciarsi abbracciare e possono di nuovo abbracciare, ma con una consapevolezza nuova, quella di appartenere alla terra e di sentirsi figlie della terra e al tempo stesso del cielo. Un corpo vissuto dalla vita, respirato dalla vita, pulsato dal cuore e al tempo stesso la possibilità di sentire tutto questo.
Attraverso le culle del Watsu il cerchio si compie. “Se l'arco è teso al massimo , allora esso racchiude in sé il tutto”, scrive Eugen Herringel in “Lo Zen e il tiro con l'arco”. La culla del respiro, principio ed essenza del Watsu è un arco teso, in cui chi dà e chi riceve sta, uno per l'altro ricevendo restituita dall'acqua che separa e unisce, l'immagine integrata di sé. Un gioco, una scena primordiale in cui entrambi, uno per l'altro sono protagonisti alla pari.
Patrizia Molinari, coordinatrice del team di psicologhe dell'associazione nel descrivere gli effetti della violenza sull'immagine di sé delle vittime cita: “Si assiste a una progressiva distorsione della percezione di sé per cui progressivamente la donna arriverà a descriversi e percepirsi nello stesso modo in cui la descrive il partner violento (ad es. si percepirà incapace come madre, come donna, come moglie, frigida, intellettivamente limitata, ecc,). Nella situazione di violenza le donne paradossalmente aumentano la quantità di energia, investendola però solo sugli altri. Nonostante la violenza subita, continuano ad occuparsi della cura dei figli, della casa, del partner, in maniera esclusiva, senza nessun aiuto dal partner, che anzi spesso aumenta le richieste fino a renderle irrealizzabili, per rafforzare nella donna l’idea della sua incapacità; a questo sovrainvestimento verso l’esterno corrisponde in maniera proporzionale un disinvestimento nei confronti di se stessa. Le vittime fanno fatica ad ascoltarsi ed a chiamare i sentimenti con il loro nome, le loro reazioni passano dal congelamento alla iperreattività”.
E a proposito della relazione con il proprio corpo la psicologa spiega: “Spesso è evidente una disconnessione e la donna vittima di violenza spesso rifiuta di sentire attraverso di esso, perché farlo significherebbe aprirsi ad aspetti troppo dolorosi della propria vita. Di conseguenza, il proprio interagire con il mondo e la propria esistenza, vengono vissuti su un piano esclusivamente cognitivo, scollegando tutto ciò che rimanda al proprio corpo”.
Eleonora con coraggio, con forza si è offerta all'acqua e a me, affidando all'acqua e a me tutta se stessa e le sue fragilità. Nello specchio acquatico del Watsu Eleonora ha potuto tornare a sentire se stessa: la mente che l'assilla, attraverso il respiro, è tornata a farsi cervello che respira, cervello-cuore. “Il respiro sembrava che mi fosse andato al cervello. Era il cervello che respirava e ogni volta mandava via i miei casini”, ha raccontato descrivendo l'esperienza.
Finora sono state una dozzina le donne che hanno partecipato al progetto. Alcune di loro per una volta soltanto, altre sono tornate due, tre volte. Prima e dopo ogni sessione a ognuna di loro è chiesto di esprimere attraverso un questionario mirato un'autovalutazione della propria condizione fisica, psicologica, emozionale, affettivo-relazionale e spirituale. Ognuna di loro può anche esprimere il suo stato d'animo attraverso un colore. Qualcuna di loro ha anche voluto lasciare un feedback più esteso.
Spesso sono soltanto brevi frasi, a volte poche parole confuse, che provano a raccontare l'esperienza vissuta. Il fatto, il gesto compiuto dal corpo in acqua scompare e affiora la sensazione o l'emozione. Il battito del cuore, il respiro interiore sono i termini più ricorrenti. E poi il tema dei confini: più di una riferisce di non capire più dove finisce il corpo e dove inizia l'acqua. “Non capivo più se c'ero o se non c'ero, non sentivo più il corpo, né il tempo”. Il tempo svanisce insieme ai “brutti pensieri”. Libere dalla mente, le donne tornano a sentire se stesse, il sé più profondo.
E io con loro.

Il risultato dei questionari sarà presentato, al termine del progetto, nell'elaborato scritto per la conclusione del percorso formativo con Watsu Italia.

Autore: Laura Crespi

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