WIN 66 - La profondità nelle emozioni e Watsu
In acqua è possibile entrare in contatto con la parte più autentica di se stessi, con la memoria della propria storia, psicologica e corporea, non riconoscibile razionalmente, ma che si manifesta in sensazioni corporee, stati emozionali inattesi, automatismi, ecc.. In acqua, in particolare, è possibile entrare in contatto con quei vissuti prenatali, perinatali e dei primi anni di vita apparentemente dimenticati.
In acqua è possibile incontrare l'altro con modalità nuove, spesso mai esperite, fatte di presenza, ascolto, rispetto, non giudizio. In una sessione di Watsu si fa esperienza del dare e del ricevere, dell’ascoltare e del sentirsi ascoltati, del comprendere i propri bisogni e quelli dell’altro.
L’acqua è il contenitore in cui possiamo abbandonarci, sentirci nutriti, accuditi, confortati, protetti, in pratica in cui possiamo vivere quelle esperienze riparative capaci di far crescere senza il timore di nuove dipendenze o nuovi distacchi. Creare questo ‘clima’ è l’impegno che si assume ogni watsuer quando offre una sessione. Tra le sue mani il corpo di un’altra persona si arrende all’acqua, sente sciogliersi contratture, blocchi articolari, si espande energeticamente entrando in contatto con sensazioni ed emozioni fino a quel momento negate. Il corpo in acqua può dare inizio ad un ‘viaggio’ in grado di far entrare nella consapevolezza quelle parti del nostro essere soffocate da ferite, traumi, lutti. E’ quindi necessario che il watseur sia in grado di stare con l’altro, con il suo dolore e con il suo piacere, con la sua rabbia e con la sua paura. Il compito non è facile, ma è la condizione sine qua non perché chi riceve si senta accettato e motivato a proseguire il proprio percorso di crescita personale.
Attraverso il lavoro formativo ho avuto l’opportunità di conoscere le difficoltà che gli operatori acquatici e i watsuer in particolare si trovano ad affrontare. Le più comuni rimandano a temi di inadeguatezza di fronte alle aspettative del ‘cliente’ e a quelle del proprio ‘giudice interno’, aspettative che creano ansia da prestazione che alle volte porta ad affidarsi alla tecnica a scapito dell’ascolto dell’altro. Nel Watsu si entra in contatto con clienti di vario tipo, in alcuni casi persone ansiose, bisognose di contenimento e accoglienza, in altri casi persone rigide che esigono un atteggiamento sicuro, professionale, in altri casi ancora persone disabili o che hanno subito traumi e che richiedono particolare sensibilità, ecc. L’incontro con questi diversi mondi emozionali nel tempo ha reso sempre più evidente la necessità di unire il lavoro in acqua, con qualunque tecnica venga attuato, ad una riflessione profonda sulla gestione delle emozioni che possono emergere e sulle competenze personali e professionali necessarie a tale scopo.
Autore: Fulvio Zanella